martedì 22 settembre 2009

Sulle Dolomiti con la Simca "Ariane"

Ipotesi preliminare (un po’ fantasiosa)
Forse la faccenda cominciò in questo modo.
Una calda estate degli anni 50 il geom. Ambrogio Costacurta, impiegato di III livello al catasto di Bergamo Bassa, stava per recarsi in vacanza a bordo della sua “600” quand’ebbe un’illuminazione.
“Vacca boia!” si disse “L’è mai possibile che ogni volta devo dannarmi l’anima a riempire ‘sta dannata scatola di sardine con moglie, figli, suocera, cane, gatto, canarino, più masserizie varie sopra il tetto? Come l’è che le fabbriche pensano no di fabbricare un bel macchinùn grande, comodo, con un bagagliaio da mezzo metro cubo ma con un motore che beva no come un cammello? In fondo a me cosa mi frega se corre mica? Io massimo faccio i settanta, per me conta viaggiare comodi. E poi mica c’ho da pagare il mutuo io, visto che ho ereditato dal povero zio prete la casa di Curno... Adess’ ghe pensi mi.”
Detto, fatto: il geometra, usando abusivamente il ciclostile dell’ufficio, stampò una circolare in cui esponeva il suo problema e la inviò a varie case automobilistiche.
Le aziende manco gli risposero ma, all’interno d’alcune, alcuni dissero “Perché no?”
Così “Mamma Fiat”, a inizio anni 60, sfornò la “1500 Lunga” (carrozzeria della “1800/2300”, motore della “1500” normale); tale vettura, in Italia, fu un tragico flop; allora – tramite “Seat – la Fiat l’appioppò agli spagnoli e, in terra iberica, fu molto apprezzata dai tassinari.
Si era già negli anni 70 quando – nonostante i flop pregressi - la “Ford” decise di sfornare una mastodontica “Granada” motorizzata 1700.
Tuttavia il merito di prima azienda automobilistica a gettarsi nell’impresa spettò alla “Simca” (defunto “brand” noto soprattutto per avere prodotto modelli che eccellevano in mediocrità) la quale sfornò l’“Ariane”, ciclopica bagnarola presentata nientemeno che nel remoto 1957, con un motore che non raggiungeva i 1300 cc.
Perché, a mio avviso, tale genere di vettura non incontrò successo? Perché va bene risparmiare, va bene non correre come forsennati, ma quando il rapporto peso/potenza supera determinati limiti perfino certi motorucoli diventano assetati. Inoltre, anche se non si corre, può sempre essere utile una scorta di ripresa e certi pachidermi, invece, erano asfittici fin dalla nascita.
Quanto al geometra Costacurta, non se ne seppe più nulla ma si bisbiglia che si gettò con la sua “Ariane” in un baratro della Val Brembana.
Testimonianza personale.
L’ultimo inverno degli anni ‘60, assieme a un nutrito gruppo d’amici buontemponi, affittai una baita sulle Dolomiti in cui trascorrere le ferie di fine anno.
Purtroppo, però, c’era un problema: la “flotta” del gruppo consisteva in una “850 Special” più due “500”, le quali avrebbero dovuto trasportare un imprecisato numero di persone, più sci, racchette, scarponi, calzettoni, maglioni, mutandoni, un colossale televisore B/N da 35” funzionante a cazzotti, vettovaglie, damigiane di Merlot, eccetera.
All’ultimo momento s’era aggregato il possessore d’una “600” in fase terminale, però si trattava d’un incallito petomane e ubriacone per cui la sua vettura fu adibita a esclusivo trasporto merci a basso grado alcolico, ma ciò non bastava ancora.
Mezzi pubblici? Manco a sognarli: all’epoca raggiungere con i mezzi pubblici le Dolomiti dalla Bassa Padana richiedeva il tempo oggi necessario per il volo Caccamukatzu (OR) – Melbourne (causa treni, autobus, orari, eccetera, degni dell’Abissinia ante conquista mussoliniana), in più l’ultimo tratto non era servito da mezzi pubblici di sorta, per cui - se uno non disponeva di un’auto - bisognava che se lo sorbisse a piedi, bagaglio sul groppone e in mezzo alla neve (il “global warming” non era ancora stato inventato).
Il gruppo era radunato in una bettola d’infimo ordine per annegare lo sconforto nel vino quando il Gianni, uno di noi, sbottò: “Io un’idea ce l’avrei”. Colto da mistica ispirazione s’era ricordato che il padre lasciava ammuffire una vetusta Ariane - ancora in grado (forse) di marciare - in una stalla di periferia. Era priva di bollo - non ancora “tassa di possesso” ("Ehi, gente: se la Stradale ci becca paga la cassa comune, chiaro?" precisò il buon Gianni) - e la RCA non era ancora obbligatoria, per cui manco era assicurata (beata incoscienza giovanile!).
Eseguimmo l’ispezione: tinta bicolore grigio e blu elettrico, sedili e rivestimenti in “skai” color cacca d'ornitorinco, però sei posti comodi e bagagliaio grande come una stiva c’erano!
Incredibile a dirsi il micropropulsore - dopo mezz’ora d’espressioni tipiche venete, sbraitate dagli ispettori e vietate ai minorenni - s’avviò, tossicchiando ma s’avviò. Aprimmo con deferenza il cofano anteriore e rimasi esterrefatto: date le dimensioni del propulsore, piazzandoci sopra un piano in Eternit (materiale cha già all’epoca accoppava un sacco di gente ma nessuno se n’accorgeva), lo spazio tra questo e il coperchio avrebbe formato un altro vano idoneo a trasportare generi resistenti al calore (laterizi, cemento in sacchi, concime in secchi, scorie nucleari, proiettili all'uranio impoverito, eccetera).
Il problema era risolto, salvo che alla partenza ci fu una rissa perché tutti volevano occupare i due posti accanto al Gianni che, ovviamente, s’autonominò responsabile della spedizione e conducente unico della vettura.
Infatti l’aspetto più seducente della macchina erano il divanetto anteriore (divanetto unico, non poltroncine!), il cambio al volante e l’assenza delle monumentali consolle centrali che caratterizzano le vetture d’oggi e che i costruttori riempiono di comandi i quali non si capisce a che servano.
Davanti ci si poteva veramente stare in tre, e comodi!
Quindi decidemmo, per evitare un bagno di sangue, di fissare dei turni.
Cari giovani del terzo millennio, credetemi: viaggiare davanti in tre dava una sensazione unica! Sembrava di vivere in un “Road Movie” americano, con accompagnamento musicale di Jimi Hendrix, o Jim Morrison, o “Creedence Clearwater Revival”, con bottiglia di "Jack Daniel’s" e spinelli nel cassettino. Adesso solo la FIAT “Multipla” (con i suoi tre posti anteriori) potrebbe dare simili emozioni, se la magia di quell’epoca non fosse tramontata.
Su strada ghiacciata, nonostante la trazione posteriore, il ponte rigido e le balestre, l’“Ariane” era molto sicura... E te credo! Con quel peso e con quella potenza da ramarro rachitico non poteva permettersi il cosiddetto “sovrasterzo di potenza”: neanche volendo si riusciva a farla slittare, e i copertoni erano normali, mica chiodati! Riguardo ai freni, a tamburo e considerato il peso a pieno carico, non c’era verso che bloccassero le ruote, meglio che avere l’ABS.
Giunti sul posto, la pittoresca e rara vettura attirò l’attenzione d’altri giovani vacanzieri: di conseguenza, ogni sera, accolse - per andare a ballare o a fare un po’ di baracca - un numero di passeggeri ben oltre il limite consentito; ovvio che, se tra i passeggeri c’erano ragazze (e ce n’erano sempre), il casino era assicurato, anche perché eravamo degli scostumati e qualche sberla assestata da mano femminile la mettevamo in preventivo.
Il Gianni poi - nonostante il modo di fare piuttosto distaccato e flemmatico – ebbe modo d’approfittare della sua vettura per concedersi una... divagazione su cui, da quel signore che era, restò sempre molto abbottonato.
Le cose andarono così.
In un albergo del centro montano avevano trovato alloggio altri nostri compari e, nello stesso albergo, alloggiava quella che oggi si definirebbe una “sgallettata”: belloccia, sempre qua e là, indaffaratissima nella misteriosa ricerca non si sa di che né di chi, con indosso pellicciona, colbaccone, doposci in pelo di capra e attillatissimi fuseaux, i quali rivelavano particolarità anatomiche nient’affatto disprezzabili.
Una sera la fanciulla aveva un appuntamento con un non meglio definito qualcuno, ma in località un po’ distante, per cui lamentava nervosamente che in quel posto di m**** non fosse possibile trovare uno straccio di taxi.
A volte una fortunata combinazione deriva da prontezza di riflessi e, quella sera, il Gianni mostrò un’invidiabile prontezza di riflessi. Quando sentì la fanciulla esporre il suo problema ai compari radunati nella hall, in tutta fretta riuscì a procurarsi un cartoncino e un pennarello su cui scrisse “TAXI” a grandi lettere, lo attaccò al parabrezza dell’“Ariane” (vettura che, come auto pubblica, era molto credibile), parcheggiò davanti all’albergo e, con mirabile faccia tosta, entrò nella hall a chiedere se qualcuno avesse bisogno d’un taxi.
Inutile dire che la fanciulla si fiondò a bordo in men che non si dica e - siccome non doveva possedere un cervello granché più grosso d’un chicco d’uva – non notò che il cosiddetto “taxi” presentava qualche anomalia.
Come detto, il buon Gianni fu sempre abbottonato circa l’avventura. Io posso solo dire che, dopo un’oretta, lui e la sgallettata rientrarono con aria decisamente soddisfatta. Rammento peraltro che il divanetto anteriore dell’“Ariane” aveva lo schienale ribaltabile, per cui se ne poteva ricavare un’alcova assai comoda...
Lascio ad altri trarre le conclusioni.
Soprattutto per il buon Gianni fu una vacanza memorabile; del resto, mettendoci a disposizione la sua vettura, se l’era meritata ma, grazie anche alla mitica “Ariane”, neppure gli altri ebbero di che lamentarsi.

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