venerdì 25 settembre 2009

Sul Gargano con il VW T1

Negli anni 70 il mio amico E. (con cui mi vedo ancora occasionalmente), ragioniere diplomato, stufo di lavoretti del piffero e sottopagati, decise di mettersi in proprio.
Assieme al cugino avviò una piccola impresa di pulizie e manutenzioni che costituì per lui il trampolino di lancio verso una non disprezzabile carriera tuttora in corso.
Il parco macchine aziendale era costituito dalla sua rugginosa R4 e dalla terrificante Peugeot 404 del cugino, entrambe meritevoli d’onorata sepoltura e comunque insufficienti a trasportare le attrezzature; d’altronde il capitale iniziale non era molto consistente.
Ma a ogni problema c’è soluzione, basta cercarla, per cui, non so bene né come né dove, i due spericolati compari riuscirono a scovare un VW Transporter T1, con 400.000 km sul groppone, d’età indefinibile, e a portarlo via per una pipata di tabacco.
Il mezzo, sebbene in stato preagonico, faceva molto fico: va infatti detto che i furgoni VW furono un “must” per hippies e giramondo d’ogni contrada, personaggi anticonformisti, con pochi quattrini in saccoccia, chitarra a tracolla e spirito d’avventura (i quali poi magari crearono roba tipo Microsoft).
Ovunque nel mondo il successo del Transporter fu tale che, ancora negli anni 70, il mezzo era molto considerato, soprattutto se scarrupato come quello in questione: infatti all’epoca andava di moda il tipo un po’ balengo, quello che se ne infischia delle convenzioni sociali, della robaccia griffata, dell’“happy hour”, dei “resort” a sei stelle e del SUV tedesco nero lucidato a specchio.
Un dato storico: all’epoca in cui i giovani balenghi andavano per la maggiore il PIL nazionale aumentava del 7/8 % l’anno (roba da Cina d’oggigiorno!), e ciò nonostante l’inflazione a due cifre, i governi che cadevano come pere marce, gli scioperi selvaggi, gli attentati, gli atti terroristici e altre amenità... Viene da pensare che quella generazione di “giovani balenghi” si diede da fare per il nostro povero Paese più di quanto si voglia dar da intendere oggi.
Ma torniamo a noi.
Il T1 in questione, tanto per intenderci, era il modello con il parabrezza sdoppiato in due, cioè la primissima serie; il colore del mezzo potrebbe definirsi come “cacca-di-uno-che-ha-mangiato-due-marmittoni-di-zuppa-di-piselli-secchi”, se non che diffuse strisciate, ammaccature e nidi di ruggine rendevano più suggestivo il look d’assieme.
Nell’estate 75 non sapevo dove cazzo andare, per cui gradii molto la proposta d’aggregarmi fattami dall’amico E. il quale, per sfruttare al massimo le potenzialità del mezzo, aveva messo su un gruppetto d’altri desperados, aveva affittato un appartamento a Mattinata e s’accingeva a partire per la bella località garganica con il T1.
A bordo il posto per me c’era, ma vicino a un frigorifero che minacciava di travolgermi a ogni curva. L’elettrodomestico ce lo portammo appresso perché l’appartamento ne era sprovvisto... Altri tempi: a Mattinata l’acqua arrivava un paio d’ore al giorno, mentre stavamo al mare, per cui la padrona di casa ci usava la cortesia di riempire fiasche, taniche, secchi eccetera e fu molto seccata quando, una sera, ci colse sul lastricato solare mentre, in mutande, ci tiravamo a vicenda mestolate d’acqua;
“Ma come?” chiese con tono di biasimo “Vi lavate con l’acqua dolce?”
Figurarsi se poteva esserci un frigorifero: quello era un lusso presente in alloggi molto più costosi. Forse a Rodi o a Pugnochiuso, ma a Mattinata, se uno voleva una birrazza fresca, o andava al bar o si portava appresso il frigorifero. Quanto a me, come ultimo arrivato, dovetti adattarmi a dormire su un materassino gonfiabile con la testa sotto il lavello del cucinotto.
Riprendendo il filo del discorso, il motore del T1 era lo stesso del Maggiolino, cioè non precisamente un mostro di potenza. Per consentire al furgone un minimo di ripresa e di spunto in salita la trasmissione era stata modificata aumentando il rapporto finale di riduzione. Se ciò consentiva al mezzo di non bloccarsi a ogni cavalcavia, la velocità massima (di ben 115 km/h sul Maggiolino) risultava ulteriormente penalizzata. Considerata però la tenuta di strada non era poi una grossa limitazione: lungo l’“Adriatica” le raffiche di vento provocavano agghiaccianti scodinzolamenti malamente controllati girando e rigirando disperatamente il volantone orizzontale, per non parlare di quando ci sorpassava un TIR (ovviamente noi, lungo i circa 700 km di percorso, non ne sorpassammo manco uno).
Morale, ci rassegnammo a tenere una velocità di crociera sui 70 km/h, con punte di 75 in assenza di raffiche e con corsie libere su una distanza d’almeno 500 m davanti e dietro.
Un bel momento, stufo di lottare contro il frigorifero, chiesi di mettermi al volante ed E. m’accontentò. Provai così, per la prima volta nella mia vita, l’emozione di pilotare un veicolo industriale, e quando dico emozione non esagero: dopo qualche chilometro, uscendo da un tunnel vicino a Pedaso, una raffica di vento sballottò il veicolo spingendolo fino a pochi centimetri dal guardrail laterale. A quel punto dissi a E. “furgone tuo, cazzi tuoi” e preferii riprendere il mio duello contro il frigorifero.
Il mezzo percorse mediamente 5 km per litro di benzina super e, partiti alle 6 da Padova, giungemmo sul Gargano alle 22. Colà mi ci volle qualche bicchierozzo di buon rosso locale per allentare la tensione. Se penso che il mio Ducato 2800 TDCI fa 11 km con un litro di gasolio, fila a 150 km/h e pare viaggi sui binari non posso non rilevare i progressi compiuti anche nel campo dei furgoni, però...
Però ci fu anche qualche aspetto positivo. Come detto sopra, i furgoni VW all’epoca erano molto trendy e il bidone che ci portò a Mattinata non passò inosservato; il fatto ci consentì di stringere alcune amicizie non poco... ehm, come dire?... stimolanti.
Ma questa è un’altra storia.

Nessun commento:

Posta un commento